Come si cambia


di Freccia di Granito

Freccia di Granito
20/10/2011


Qualche anno fa c’era una canzone di successo che aveva per titolo “Come si cambia”. Poi, ovviamente, gli anni sono passati, e anche l’orientamento del pubblico è cambiato, per cui non mi capita mai di risentire quella canzone.
   A prescindere, comunque, dalla moda e dal successo degli oggetti di consumo, tutti noi si cambia. Passano gli anni, e si cambia.
   Mi ricordo che negli anni Settanta, ma anche negli anni Ottanta, e pure negli anni Novanta, arrivava l’autunno ed io ne ero entusiasta.
   Tutti mi guardavano con una certa aria di perplessità. Non so bene il perché, ma, tra chi declamava il suo amore sviscerato per il caldo, tra chi preferiva i colori forti della cosiddetta bella stagione, tra chi amava i bagni di mare e le spiagge assolate, insomma la stragrande maggioranza delle persone non condivideva tutto questo mio entusiasmo per le foglie gialle i colori ovattati, diciamo pure sbiaditi, dell’autunno.
   Le giornate sempre più corte, l’incalzare della grande notte invernale, l’accendere delle luminare di Natale, la frenesia per le imminenti feste, tutto mi esaltava.
   Adesso invece anch’io sono cambiato.
   Avete presente quella poesia di Ungaretti che più o meno recita così: “lasciatemi in un angolo, come una cosa posata e dimenticata…” Bene, forse la poesia era lievemente diversa, ma i miei sentimenti sono sempre più assimilabili a ciò che voleva esprimere il poeta.
   Da qualche tempo, cioè da un paio di anni ho degli improvvisi attacchi di tristezza. Non si tratta di banale depressione (sempre che la depressione possa essere semplicisticamente definita banale.
   No. Si tratta di qualcosa di diverso, di milioni di volte più intenso, come un dolore lancinante, insopportabile, che non ti fa respirare. Dura qualche minuto, e poi se ne va. Mi basta bere del caffè, meglio ancora se accompagnato da una bevanda energetica (quelle robe che alcuni accusano di essere quasi droghe o roba simile, ma che in realtà sono solo bibite con vitamine B, qualche sale, qualche aminoacido e un sacco di caffeina, e poi la misteriosa taurina, che non ho capito assolutamente che cosa sia). Oppure un bel pezzo di sana cioccolata. Ma attenzione: deve essere cioccolata fondente, nera (non al latte né tanto meno bianca) e poi deve essere una marca scelta, qualcosa di sicuro, rigidamente italiana (ormai solo in Italia si continua a fare cioccolata nera buona, perché la normativa europea ha immesso delle letti che distruggono la correttezza con la quale era obbligatorio fare la cioccolata).
   Insomma, l’attacco violentissimo di tristezza se ne va con la stessa velocità con la quale era arrivato.
   Sì, benissimo, ma ora sta arrivando l’autunno, il freddo, le ombre si allungano alla mattina, i pomeriggi si accorciano. E le crisi di tristezza mi aggrediscono con sempre maggiore frequenza e rapidità e intensità.
   Dov’è finito il mio amore per l’autunno?
   Non lo so. È finito. E con lui tantissime altre cose.
   Ad esempio mi sveglio e la stanza è fredda. Suppongo che lo fosse anche gli altri anni, d’autunno. Ma basta quel minimo di freddo per farmi passare la voglia di uscire.
   Da molti anni avevo preso l’abitudine di uscire appena sveglio, cioè alle sei, anche alle cinque di mattina. Avevo una macchina vecchissima ma sufficiente per brevi giretti attorno all’isolato, e mi fermavo a prendere un cappuccino dai cinesi, che, almeno in questa zona dove abito, sanno fare i cappuccini benissimo e sono sempre gentili e sorridenti e quando escono mi dicono Ciao! mentre aimè gli italiani manco mi salutano, e mi guardano come un anziano rompicoglioni.
   La mattina del 16 agosto, alle sei e mezza, stavo percorrendo a lenta andatura un viale quando all’improvviso dalla mia sinistra è sbucata una macchina che ha preso in pieno la mia, e io sono ancora intero solo grazie alla tecnologia avanzata degli airbag laterali. Da quel giorno ho tolto dai miei piaceri quotidiani la giratina in macchina di mattina. Però sono uscito anche a piedi, per andare almeno al bar dei tranvieri, dove due cinesine accolgono tutti col sorriso e salutando. E fanno il cappuccino con la schiuma a forma di cuoricino. Ma quando esco dal letto sento freddo, e mi passa la voglia di uscire. Ecco, è questo il dramma, pian pianino mi passa la voglia di tutto. Non mi incanta più l’autunno, né le foglie gialle, né le ombre della mattina, né il primo cappuccino della giornata, ma non mi incanta più neanche il mare, i pini, il cinque e cinque (che cosa sia ve lo spiego un’altra volta o da qualche altra parte del sito) e le cose che destano la mia attenzione diventano ogni giorno sempre di meno.
   Già, si cambia, ma questi cambiamenti proprio non mi piacciono.
A volte penso che potrei andarmene in Argentina, e mandare tutti a quel paese. Pensate, là con la cifra che serve qui per comperare un box (altrimenti detto garage ci si compra un bell’appartamentino. E se si vende un appartamento di tre o quattro stanze di Milano, col ricavato si va in Argentina e ci si compra una casetta circondata dal giardino. In Brasile pare sia meglio ancora. Per esempio a Natal! Sapete dove si trova Natal? Sapete dov’è? Be’, oggi, tra le tante voglie che mi mancano, mi manca anche la forza di spiegare il perché mi affascina Natal e dove si trovi, ma un giorno ne scriverò. Potessi andarci, magari con un low – cost! Ho letto dei blog che lo descrivono favoloso, un paradiso in terra. Ma ci vuole coraggio, energia, forza, tutte cose che al momento mi mancano. Apro la finestra e mi arriva una zaffata di smog: all’odore delle auto si è appena aggiunto quello della riapertura dei riscaldamenti. Abbiamo appena trascorso l’estate a congelare nei centri commerciali e in tutti gli ambienti pubblici perché mandavano l’aria condizionata a tutta manetta e adesso negli stessi ambienti si soffoca e si hanno capogiri per il troppo caldo, quando ancora la temperatura è mite e la piccola sensazione di freddo mattutino mi passa subito, magari con un cappuccino cinese, la cui schiuma disegna col caffè due tipi di figure: il cuoricino e (almeno credo) il fiore di loto.
   Beh, adesso vado a bermi una lattina… non posso dirvelo di ché. Lo devo fare di nascosto. Come un bambino. Anche se ho 62 anni!